lunedì 28 settembre 2020

Benedire nella prova

 Giobbe 1,6-22 e Luca 9,46-50


Se oggi all'improvviso il nostro conto corrente venisse hackerizzato e svuotato; se perdessimo il lavoro; se la nostra casa crollasse; se le persone che amiamo ci abbandonassero, se ... Se tutto attorno a noi perdesse di significato e la realtà invece di accompagnarci nella vita si rivelasse matrigna e piena di fatiche e avversità, come reagiremmo? Saremmo capaci delle parole Giobbe?
«Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».
Il commento del redattore del libro di Giobbe è: "... in tutto questo questo Giobbe non peccò e non diede nessuna colpa a Dio ..."
Come è possibile tutto ciò? Credo che Giobbe rappresenti il prototipo dell'uomo che cerca Dio, e che non si stanca di Dio. Dell'uomo che, in tempi di prosperità, serenità e pace, riesce a considerare la propria condizione in relazione al creatore. È in quella lucidità - se le cose di cui si gratifica non diventano idolo della vita - che il mistero di Dio resta come orizzonte di attesa e di speranza delle realtà che non passano. È con questa consapevolezza che Giobbe può pensare e anche affrontare la fragilità e la crisi. La sua solidità ha le sue radici nella benedizione di Dio, nella quale Giobbe non ha smesso di considerare Dio fonte di ogni suo bene e compagno di cammino. 
Giobbe ci dice come "non ridurre Dio a nostra misura", nelle bene e nel male; se Dio non è la misura ma siamo noi stessi a misurare ogni cosa, ogni realtà perde la propria trascendenza, e risulta solamente "finita". È facile cadere nello scoraggiamento della prova, nella tentazione della solitudine e dell'abbandono ... Ma quel voto che si allarga come abisso è proprio lo spazio del mistero che per qualche motivo non entra in me.

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