domenica 13 settembre 2020

Sir 27,33-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35a
Come "anche" noi li rimettiamo ai nostri debitori ...

Nella preghiera del Padre nostro che sarà nel nuovo messale oltre al "non abbandonarci alla tentazione", è stata aggiunta la congiunzione "anche", lì dove ci si misura col perdono.
Una espressione che sembrerebbe superflua, ma che, alla luce del Vangelo di oggi non lo è. Quante volte infatti, il perdono che riceviamo non diventa criterio per il perdono che possiamo donare! Quella congiunzione "anche", rafforza palesemente la centralità del perdono nella vita cristiana. Dice che per il discepolo di Gesù c'è proporzionalità diretta tra perdono ricevuto e il perdono come fulcro e condizione delle nostre relazioni.
L'esperienza del perdono è il cuore della comunità cristiana ...
La parrocchia, la Chiesa, i nostri gruppi e associazioni, non hanno motivo di esistere al di fuori del perdono.
Che comunità sarebbe quella dove appena sbagli ti tagliano la testa? Dove appena dici la tua ti giudicano? Dove quando non rientri nei canoni ti scartano e ti mettono al margine?
Sarebbe la comunità dei perfetti! Ma sarebbe la perfezione del Vangelo? No, non lo sarebbe!
Pietro cercava un compromesso per se stesso - forse conoscendosi - ma il Vangelo supera l'esigenza di Pietro, e propone il perdono non in senso di ciò che è giusto, ma nel suo vero contenuto: il perdono non appiana semplicemente le divergenze, non mette a tacere le liti e i rancori; Il perdono genera vicinanza, comprensione, tenerezza; il perdono nasce dall'amore e genera amore.
Il perdono genera in chi lo vive, in chi lo dona, gli stessi sentimenti di Gesù. Superare la giustizia attraverso l'amore all'altro. Ed ecco allora che una bella comunità, non è quella nella quale nessuno sbaglia mai - ma quella dove se si sbaglia -, il perdono permette di crescere e maturare tutti.
Nel Padre nostro diremo: "rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" ... Ma questo non pone solo una condizione attuazione del perdono che chiediamo a Dio, quella congiunzione pone la necessità che noi ci lasciamo trasformare e convertire dalla logica del giudizio, rinunciando alla nostra giustizia e al nostro orgoglio che ci pone sempre una spanna sopra ai fratelli.
In realtà il perdono funziona come questa breve storia di Bruno Ferero: "Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessava di solito dal parroco. Le sue confessioni sembravano però un disco rotto: sempre le stesse mancanze, e, soprattutto sempre lo stesso grosso peccato. “Basta!” gli disse un giorno, in tono severo, il sacerdote. “Non devi prendere in giro il Signore. E’ l’ultima volta che ti assolvo per questo peccato. Ricordatelo!”. Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo lì a confessare il solito peccato. Il confessore perse davvero la pazienza: “Ti avevo avvertito: non ti do l’assoluzione. Così impari”. Avvilito e colmo di vergogna, il pover’uomo si alzò. Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso. L’uomo lo guardò. In quell’istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell’assoluzione: “Io ti assolvo dai tuoi peccati…”.  Ognuno di noi è legato a Dio con un filo. Quando commettiamo un peccato, il filo si rompe. Ma quando ci pentiamo della nostra colpa, Dio fa un nodo nel filo, che diviene più corto di prima. Di perdono, in perdono ci avviciniamo a Lui.
Ed è proprio questo che non riusciamo a capire della riconciliazione, che se il peccato ci allontana; ci separa e ci rende freddi nell'amore; il perdono riannoda un filo spezzato e raccorcia la distanza da Dio ... Ma se questo è vero nel sacramento, quanto altrettanto vero sarà nella vita di tutti i giorni? E quanta vicinanza sperimenteremo nel perdono che sapremo donarci?

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