mercoledì 30 settembre 2020

Il limite della nostra condizione

Giobbe 9,1-16 e Luca 9,57-62

San Girolamo (di cui oggi facciamo memoria a 1600 anni dalla morte) nel prologo al libro di Giobbe scrive che interpretare questo libro "è come tentare di tenere tra le mani un'anguilla o una piccola murena: più la stringi forte, più presto essa sfugge". Siamo di fronte al dramma dell'uomo che non comprenderà mai fino in fondo il perché della morte, del dolore della sofferenza. Nel capitolo 9, che abbiamo iniziato oggi, Giobbe dimostra ancora di affidarsi pienamente a Dio, un Dio che rovescia tutti i tradizionali sistemi di potere e tutti i criteri consueti; la signoria sul mondo, su ogni creatura, su ogni fenomeno naturale, su tutto ciò che lo rendono l'”Onnipotente”. Di fronte a questa certezza cresce di pari passo, in Giobbe, una lamentazione, uno sfogo di dolore e delusione: perché continuare a chiedere ragione, perché questo Dio mi assilla, mi scruta, mi getta nella povere, pur sapendo che sono innocente. Ed ecco che a seguire una domanda si apre nella mente di Giobbe: "Eppure Dio mi ha creato per amore! O … è per altro motivo che mi ha fatto vedere la luce?" "Perché mi mette alla prova “gratis”, senza una ragione che io possa comprendere? Certo, Dio non mi “deve” una risposta! Allora io continuo a dire: perché mi hai fatto nascere? Giobbe di fronte alla realtà si dimostra un sapiente biblico, cioè vive di quella sapienza è frutto dell'esperienza e non della conoscenza. Sarà quindi nell'esperienza concreta della sua vita che Giobbe incontra Dio stesso.

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