sabato 3 ottobre 2020

“... ora i miei occhi ti hanno veduto”.

Giobbe 42,1-16 e Luca 10,17-24

Certo che la lettura in questi giorni non ci ha fatto gustare interamente la trama e i contenuti del libro, come anche non ci ha permesso di entrare nel dramma umano di Giobbe. Di fronte alla sofferenza umana come è possibile continuare a credere in Dio si fa garante della giustizia, quando la realtà concreta dimostra il contrario? Giobbe affronta questo problema - che chiama in causa Dio - discutendo con Lui, e non eliminandolo dal suo orizzonte di ricerca.
Il libro non è un trattato sul dolore, sulla sofferenza o sul problema del male; queste realtà esistenziali, per l'uomo, mettono generalmente in crisi il rapporto religioso tra uomo e Dio. Giobbe non si chiede il perché lui debba soffrire, non affronta la questione a partire da Dio: perché Dio giusto e buono non interviene a favore dell'uomo giusto e sofferente? Nel libro di Giobbe il problema del dolore non si traduce in una atto di ribellione o di accusa a Dio, ma viene affrontato e vissuto dentro la fede in Dio.
Si può dunque continuare ad amare Dio? Si può continuare a credere e a fidarsi quando la situazione e il contesto negano ma sua presenza, quando vengono meno i segni della sua benevolenza, quando le promesse si infrangono e ci sentiamo smentiti nelle convinzioni che nel tempo hanno alimentato la nostra vita?
Il racconto di Giobbe è una riflessione complessa circa il senso della sofferenza, del dolore e della morte, ma certamente la manifestazione del volto di Dio, per Giobbe, non è al di fuori dell'esperienza della sofferenza.

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