lunedì 2 novembre 2020

Nascere e morire ...

Giobbe 19,1.23-27; Salmo 26; Romani 5,5-11; Giovanni 6,37-40

Commemorazione di tutti i defunti


Giorno dopo giorno, la morte prende sempre più concretezza. È un percorso che dall'età del bambino, progredisce attraverso le fasi della vita, confrontandosi con momenti di angoscia dovuti alla comprensione di un mistero sotto certi aspetti così ostile; con momenti di abbandono confidente al mistero di amore del Padre; e a momenti di indifferenza, accettata quasi, quasi, solo per lenire quel senso di ignoto che l'idea della morte  lascia dentro ciascuno di noi. Rileggendo Giobbe, sento il grido di un uomo che non si rassegna a un destino di morte, ma che non si illude neppure di superarlo con facili parole. Il dramma della corruzione del proprio corpo, espresso quasi con una violenza che dice "la vita strappata" dalla propria persona, non toglie la speranza, proprio a partire dalla esperienza della morte, "di vedere Dio", vederlo come esperienza che appartiene alla propria realtà personale, cioè nemmeno la carne strappata dalle ossa può estinguere il desiderio, e la possibilità, di vedere il proprio creatore.
Oggi parlare di vita eterna, di risurrezione dei morti, per tanti giovani e adulti è un inutile discorso; l'indifferenza rispetto al proprio destino di vita e di morte regna sovrana ... Siamo immersi nella cultura del reale, del soddisfare, del concreto ... Ogni esperienza ha senso e significato nella misura d'essere parte di una esistenza chiusa in se stessa. La morte non appartiene alla realtà, perché è la non esistenza; è riduzione al nulla dei bisogni da soddisfare; non è concreta perché cerchiamo da subito di escluderla, ignorandola. La morte è solo una parola, l'ultima di un processo esistenziale, chiuso; e come tale è accettata, solo come sostantivo ... Allo stesso modo con cui si accetta la parola "nascere", parola che da inizio al processo del vivere. Ecco due parole nella nostra cultura hanno perso il loro valore e significato esistenziale, perché invece di aprire alla vita come esistenza e del suo essere prima e dopo, la chiudono in se stessa e la privano del mistero di eternità, cioè dell'esperienza di fede, della vita reale, piena e concreta di Gesù Cristo, uomo e Dio.

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