mercoledì 4 novembre 2020

Il criterio è l'amore

Filippesi 2,12-18 e Luca 14,25-33

Se tutti, poveri, ciechi, zoppi, storpi ... sono invitati alla cena per riempire la sala delle feste - il Regno di Dio -, accettare l'invito, significa accogliere un nuovo criterio di vita: l'amore. Nelle parabole del "banchetto", troviamo sempre una contrapposizione - tra accoglienza e rifiuto -, che se letta in profondità conduce a riconoscere il criterio dell'amore come condizione di chi accoglie l'invito e conforma la propria vita allo stile della festa. Amare non è solo quel sentimento o quella condizione che custodisce e genera i nostri legami affettivi e le nostre relazioni più care. L'amore è anche quel "Timor di Dio", che unico tra i dono dello Spirito, esprime la nostra preferenza e la priorità nei confronti del Signore. All'amore istintivo e passionale non opponiamo il "Timore", perché, è il "Timore" che porta a compimento l'amore. Di fronte a tutti coloro che vanno con Lui e dietro a Lui, Gesù chiede di portare a compimento il loro amare, con un amore che non può escludere, ma con un amore che include la pienezza, che è il "Timore". Dire il criterio è l'amore, significa superare la nostra emotività senza rinnegarla, ma dandogli compimento nella gratuità; significa superare la passionalità ordinandola al bello e alla tenerezza; significa esprimere l'amore nella vita con quella prudenza che non è un trattenere, ma lasciare che l'amore si diffonda e riempia con gradualità continua le realtà della nostra vita di discepoli, che camminano seguendo i passi del maestro: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo".


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