martedì 7 dicembre 2021

E se la pecora smarrita fossi io ...

Isaia 40,1-11 e Matteo 18,12-14


Secondo la logica razionale, lo smarrimento di una pecora su cento è un rischio calcolato e accettabile. Ma se quella pecora non fosse una qualunque ma fossi io (inteso ciascuno di noi)?
Ecco, partiamo da questa condizione, con lo sguardo alle parole di Gesù.
Se fossi io la pecora che si smarrisce nel deserto? Come mi sentirei, cosa proverei, cosa desidererei ...
Lo smarrimento è il luogo dove ci sentiamo abbandonati; dove siamo deboli e fragili; lì è il luogo dove sperimentiamo l'innegabile necessità di essere amati e custoditi. Il deserto, la solitudine, lo smarrimento aprono la porta all'accettazione dell'amore dei fratelli verso ciascuno di noi, illuminano la relazione tra "uno" e "novantanove". È in questa presa di consapevolezza che agisce Gesù, come immagine del pastore che viene a cercare ciò che è perduto, ma soprattutto come stile della Chiesa che non può dimenticarsi di nessuno, nessuno è uno scarto accettabile, nessuno può essere lasciato indietro, sacrificato.
Se vivo l'esperienza dello smarrimento; se sento cosa significa perdere la prossimità degli altri; se sperimento il venir meno delle attenzioni e degli affetti fraterni; è quella condizione che mi porta immediatamente a dare valore all'amorevolezza dei novantanove verso di me. È proprio il limite e la fragilità che mi aprono lo sguardo sullo smarrimento della mia vita, ma è proprio questa condizione che diviene fondamento della crescita umana e relazionale. Essere cercato, allora, è fondamentale affinché lo smarrimento possa portare in se i frutti dell'amorevolezza, cioè essere voluto bene, del sentirsi preso a cuore, per esser ricollocato nei novantanove, in una comunità di fratelli.

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