domenica 11 novembre 2018

1 Re 17,10-16 / Salmo 145 / Ebrei 9,24-28 / Marco 12,38-44
Io cosa sono disposto a mettere in gioco?

Il cardinale Biffi diceva: "una volta i cristiani erano poveri e volevano che la Chiesa fosse ricca, oggi che i cristiani sono ricchi pretendono una Chiesa povera. Una volta i cristiani rendevano la chiesa ricca con la loro povertà oggi la vogliono povera spogliandola delle sue possibilità e libertà".
Alla luce di questa provocazione stiamo davanti alla Parola di questa domenica.
Una Chiesa ricca del dono di tutti è stata capace nei secoli di generare cultura; custodire il sapere; soccorrere i malati; assicurare a tanti contadini il sostentamento della terra; difendere i diritti degli indifesi; dare prospettiva e futuro ... La Chiesa ricca del dono dei suoi figli non è sempre stata un "male", lo è stato solo quando il dono gratuito di tutti è stato assoggettato alle logiche di scribi e farisei che da sempre "amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere".
Ache oggi ci può essere nella Chiesa, cioè nella comunità cristiana, cioè tra di noi chi:
- si veste bene la domenica per andare a messa solo per farsi vedere! Forse c'è ancora?
- ama farsi spazio per conquistare del potere, delle amicizie che contano!  Si esistono ancora! Ma soprattutto esistono ancora cristiani che cercano quelli che amano passeggiare in lunghe vesti ... per avere qualche favore personale ...
- vuole scalare la società in cui vive per raggiungere i posti importanti, quelli che vivono per la carriera come obiettivo da raggiungere! Si, anche questi ci sono ancora!
Ma ciò che è più grave è che esistono cristiani che usano della fede per i propri interessi.
È per questo che non siamo credibili, perché il nostro vivere cristiano scende sempre a compromesso con le nostre debolezze! Non ci fidiamo della proposta del Vangelo e ricerchiamo una sicurezza nel mondo!  Ma soprattutto non siamo disposti a giocare noi stessi nella proposta del Vangelo!
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Guardando a una vedova ... ne rimase affascinato!
Chiamo i suoi discepoli per condividere con loro ciò che stava scoprendo di se stesso e che voleva che anche loro capissero e imparassero a vivere.
La vedova viveva uno stile sconvolgente! Fuori da ogni possibile convenzione umana e sociale.
Gesù vede che la vedova getta "tutto"nel tesoro del tempio, quel gesto non è generosità, ma è il modo in cui ci viene proposto di "uscire dalla logica del calcolo e delle nostre pretese", a volte anche di falsa sobrietà e povertà.
Gesù scopre nella vedova, lì ne tempio di Dio, il suo stesso desiderio di offrirsi totalmente al Padre. Questo stile fuori dalle logiche del mondo è lo stile che Gesù sceglie per se stesso, per donare il suo corpo per tutti e versare il proprio sangue ore la libertà dal peccato e dal male, da ogni povertà. Alla fine il discepolo di Gesù deve ammettere, suo malgrado, che c'è anche dell'altro da guardare! C'è un modo nuovo di comprendere la realtà: "il divino si cela in un gesto gratuito di una donna; l'annuncio del regno di Dio si nasconde nel dettaglio di due monetine".
Il dono di se stessi è l'immagine che Gesù edifica agli occhi di tutti i discepoli. Questo è lo stile di Gesù: "anche io offro la mia vita senza riserve e garanzie" è la offro per voi e per tutti in remissione dei peccati ... La offro ora, come sacrificio che supera e sovrasta ogni sacrificio. Ecco che la vita di Gesù offerta gratuitamente e totalmente è superiore a tutto ciò che posso immaginare! Non rimaniamo ancorati alle solite logiche economica; se come la vedova siamo disposti a dare qualcosa di più (che è già il tutto) rispetto alla nostra regolare spilorceria, allora impareremo che la povertà è la più grande ricchezza della Chiesa ricca del dono di tutto e di tutti.

1 commento:

  1. C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?». «Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto». Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!». «Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela». «Come?». «Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove». «Che cosa significa?». «Fa' quello che ti dico...». Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato». Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta ... novantanove! Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!». Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili... Ma non trovò quello che cercava. Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no». La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti. Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta! Il paggio era entrato nel giro del novantanove... Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore. (di Bruno Ferrero)

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