lunedì 26 novembre 2018

Apocalisse 14,1-5 e Luca 21,1-4
Vedovanza e Sponsalità 

La parola "vedova" in greco porta in sé il contenuto e il significato di "privazione", colei che è privata, del marito (le manca la sua parte, quella parte dalla quale lei stessa è stata tolta), dell'amore della sua vita, di ciò che da pienezza alla sua esistenza ecc...
La vedova era quindi privata di una appartenenza, essa non apparteneva a nessuno, la sua vita (quella biologica, nella concretezza del tempo) non era di nessuno.
In realtà tutta la nostra esistenza non è altro che un ricercare e consolidare la nostra appartenenza, perché è nella relazione feconda e amorevole che troviamo la pienezza, il compiersi della nostra natura umanità. Essere di nessuno, "essere vedove" è in un certo modo non esistere. Ciò che fa questa vedova è l'atto estremo, l'estremo tentativo di recuperare la sua sponsalità, raccoglie tutto ciò che è, tutto ciò che rimane della sua vita priva di pienezza e la porta, la offre, a colui che è capace di "redimere" una esistenza (vita) priva di senso, rendendola parte (ridonandogli il ruolo di parte) nel tesoro di esistenza che è la vita che appartiene a Dio.
Fintanto che la nostra appartenenza a Dio si misura attraverso la superficialità, e ciò che è superfluo, non sperimenteremo mai la stringente necessità di offrici come il nostro necessario; il superfluo in realtà continua ad appartiene solo a noi stessi e mai a Dio, solo il necessario, offerto, appartiene a Dio.

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