mercoledì 19 dicembre 2018

Giudici 13,2-25 e Luca 1,5-25
La nostra sterilità e la fecondità di Dio

Le pagine della scrittura di oggi descrivono il dramma di due donne che, con dolore, testimoniano la loro impossibilità di essere madri; le parole dell'Angelo del Signore, riapre alla speranza e alla certezza che la loro preghiera e il loro desiderio sarebbe stato lo spazio della fecondità di Dio. Cosa intendo per fecondità di Dio? Intendo la possibilità di esprimere il dono della vita. Nel figlio annunciato viene donata anche la promessa della vita divina, come manifestazione della salvezza, capace di generare i figli di Dio alla vita eterna. Le vicende reali della vita di Anna, di Manòach, di Elisabetta e Zaccaria ci permettono di comprendere come la nostra sterilità si rinnova in ogni ripiegamento e in ogni chiusura alla grazia (a partire dal dono della sua Parola). Oggi poi, nel dilagare del paganesimo cristiano, assistiamo alla rivincita del demonio (travestito di indifferenza e insensibilità, di superbia della vita e orgoglio, di odio e razzismo ...) rispetto alla nostra cultura scristianizzata. Il demonio è portatore di parole di sterilità; essa non più identificata nella privazione della vita eterna, viene invece adottata come condizione di una vita comoda (per i "beni" di cui si può godere).
Assistiamo inermi nelle recite natalizie, luogo educativo per i bambini, al ritorno delle divinità pagane protagoniste di una favola che si sostituisce al senso cristiano dell'incarnazione, a vantaggio di figure come diavoli, satiri ed elfi, e al principe del Natale che è "babbo natale". La sterilità assume il tratto del dramma, della incapacità umana di aprirsi alla vita di Dio. La sterilità è preludio della morte e della solitudine esistenziale. L'annuncio dell'Angelo, pur nel complesso delle vicende della vita, è "fecondità" perché è figura della generazione del Figlio di Dio - Gesù Cristo - e della vita e dei figli di Dio.

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