martedì 4 dicembre 2018

Isaia 11,1-10 e Luca 10,21-24
La cosa peggiore è togliere la speranza

Come sono belle le Parole di Isaia, hanno il sapore di una speranza antica ...
Antica come il desiderio di riscatto e di salvezza che abita il cuore di ogni uomo, che sperimenta l'iniquità, cioè il mondo, il tempo, la storia segnata dal peccato. Come sono consolanti le parole di Isaia, hanno in sé stesse la forza di curare le ferite che ogni giorno ci procuriamo. Come sono necessarie le parole di Isaia, esse sono profezia che rinnova la promessa di Dio di essere per noi, con noi-accanto, per farci come Lui e condurci a Lui.
Queste parole però, ogni giorno continuano ad infrangersi come le onde del mare scogli della durezza e delle speranze negate.
Sentire un profugo, un irregolare (ormai lo saranno in tanti), un diseredato, uno scartato ... dire: "... perché ... forse devo vivere così ... questa è la mia vita ..."
Gli abbiamo tolto la speranza di vivere su questa faccia della terra, togliendogli la dignità della sua esistenza; gli stiamo dicendo: "non ti vogliamo, meglio per te se non fosti mai nato ..." Neghiamo a lui e a tanti altri la possibilità di verità della Profezia di Isaia.
Gesù nel Vangelo dice che le "cose" di Dio sono rivelate ai piccoli, attraverso i piccoli, i poveri, gli esclusi, "gli orfani e le vedove" di tutti i tempi.
Non c'è beatitudine alcuna per chi oggi non vuole vedere e non vuole ascoltare!
Ma la parola dei Profeti non smette di infrangersi come le onde del mare sugli scogli dell'iniquità. La Parola Dio parla nell'ingiustizia subita, è un grido che invoca speranza, la parola di Dio continua a rivelarsi nei "piccoli".
Attenzione: avrei il coraggio di dire a un profugo - magari a uno di quelli ora irregolare - vattene via, non ti voglio! Non facciamo di ogni erba un fascio ...

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