giovedì 6 dicembre 2018

Isaia 29,17-24 e Matteo 9,27-31
Sordo, ceco e povero! 

Sordi, ciechi, poveri - ma potremo anche aggiungere altro - rappresentano non tanto delle condizioni umane svantaggiate, ma sono spazi esistenziali completamente rivisitati dall'opera delle mani di Dio. Isaia non si esprime tanto nel superamento del limite, quale grazia che sana, ma ha una intuizione più profonda: il limite della nostra umanità è lo spazio in cui è sconfitta la tirannia dell'arroganza e dell'iniquità; tutto è ricondotto alla vera relazione filiale che permette ai "figli di Giacobbe" - i figli della promessa, i figli di Dio - di "vedere l’opera delle mie mani tra loro", e in questo modo "santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele".
C'è una sordità che ci impedisce di ascoltare la parola del Padre; c'è una cecità che ci impedisce di vedere il Suo volto; c'è una povertà che ci allontana orgogliosamente dal Signore, dal Figlio di Davide. Il grido dei due cechi, riecheggia anche nel Vangelo di Matteo, come una espressione capace di attrarre a noi Gesù: "figlio di Davide abbi l'età di noi". Ecco che di fronte a quel grido, il fare di Gesù è l'opera di Dio che si avvicina per manifestarsi nella vita. Quale grido oggi rivolgo al Signore, affinché attraverso la fede, lui si accosti a me, in modo da poter riconoscere ciò che Dio compie oggi nella mia storia? Quando accetterò che Dio agisce nella mia sordità, cecità e povertà?
Beata è la sordità che accoglie ogni parola della scrittura come buona notizia; stupenda è la cecità che liberata dalla tenebra riconosce nei fratelli il volto di Dio; desiderabile è la povertà che grida all'unica ricchezza di accostarsi nella fede: "figlio di Davide abbi pietà di noi".

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