mercoledì 9 ottobre 2019

Giona 4,1-11 e Luca 11,1-4
Tutto dipende dal Padre ...

Nella richiesta dei discepoli di Gesù, occorre riconoscere prima di tutto un desiderio di compimento: essi si sento irrealizzati; se si confrontano con i discepoli di Giovanni, colgono una differenza che è mancanza di riferimento a Dio. Percepiscono nel loro esistere un vuoto, una realtà incompiuta. E non da ultimo, certamente il fascino di Gesù che prega, che essi vedono pregare, pone in loro il desiderio di imitazione di emulazione, di appartenenza piena al maestro. Ecco allora che la risposta di Gesù arriva al cuore della richiesta.
Padre, una parola molteplice per le suggestioni che suscita in noi: profondità, ricordi, appartenenza, consapevolezza e a volte anche lotta e confusione ... Una parola che Gesù pone all'origine della preghiera, cioè della relazione, del dialogo, del comunicare dei discepoli con Dio. Gesù in queste parole pone il fondamento del nuovo Israele. Dio cessa di essere il Dio onnipotente "... misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato", per rivestirsi unicamente della parola "Padre".
In questa parola, io riconosco il mio essere, la mia origine, il mio compimento e anche il mio destino, come pure in quella parola Dio stesso mi si rivela. Dio in quanto Padre mi riveste del "Suo Santo nome" nel momento esteso che lo invoco. Mi riempie della sua Santità, non più inaccessibile, non più separata e custodita nel Santo dei Santi, ma data nel vincolo generativo della paternità. Il Padre mi mostra la mia eredità: "il suo regno", che è la sua vita donata, il suo esistere e il suo esserci nell'esperienza del mio esistere ed esserci. La preghiera per Gesù non è un gesto religioso formale univoco, unilaterale, ma è sempre una relazione di comunione, e nel momento che dico Padre e che riconosco il Padre, affermo il mio essere figlio e mi riconosco come tale.

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