domenica 27 ottobre 2019

Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
In missione si impara a superare il pre-giudizio


Chi ha l'intima presunzione di essere giusto disprezza l'altro!
Non è forse vero che la fatica più grande di una comunità si sperimenta nel modo di stare assieme? Quanti attriti, quante incomprensioni segnano anche la nostra esperienza.
Parole come "comunità chiusa"; impossibile entrare; club esclusivo ...
Raccontano uno sguardo esterno ma anche interno alla comunità, rispetto al quale occorre operare una vera conversione, se vogliamo essere veramente cristiani.
Ecco allora che il Vangelo illumina anche l'esperienza comunitaria, mette in guardia da certuni stili parrocchiali:
La preghiera del fariseo, forse anche di qualche "buon cristiano" è sintomatica: "... ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo".
Ma detto tutto questo, il fariseo resta solo, e resterà sempre da solo, egli si erge a essere "un io autoreferenziale ..." Anche se vado a pregare davanti al tabernacolo, in realtà non mi accorgo neppure della presenza di Dio, così come sono preso da tutta la mia presunta giustizia.
La preghiera del pubblicano invece ci permette di riconoscere e tradurre la nostra più umiliante sconfitta: ciascuno di noi non basta mai a sé stesso: "... Stando a distanza si batteva il petto dicendo: " O Dio (tu), abbi pietà di me peccatore".
Il "tu" del peccatore, quel "tu" rivolto a Dio, rivela tutto il suo affidarsi all'amorevole attenzione dell'altro, di Dio, manifesta tutta la sua inadeguatezza, ed invoca la compassione di una comunità di fratelli. Quel tu invocato con desiderio e con il cuore è la vera apertura alla conversione, non è semplicemente uno sforzo comportamentale.
Quel TU È una piccola parola che cambia tutto: significa cambiare l'io del fariseo con il tu del pubblicano, ovvero conversione.
Le regole del Tu, sono semplici e valgono per tutti e per tutto. Sono le regole della vita:
se metti al centro l'io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con i figli o con gli amici, tantomeno con Dio.
Il nostro vivere e il nostro pregare progrediscono, sono in stato di conversione quando il desiderio di amare, quando i sogni che abitano la nostra mente, quando Dio stesso divengono lo spazio in cui il TU precede l'IO, al punto che la preghiera non è più la mia parola di richiesta ma il mio spazio di trasformazione.
Dice il Papa Francesco: “Un primo passo è liberare le nostre menti e i nostri cuori da pregiudizi e stereotipi” (…) “Quando pensiamo di sapere già chi è l’altro e che cosa vuole, allora facciamo davvero fatica ad ascoltarlo sul serio” (…).
Fintanto che non facciamo nostro l'amore verso il prossimo, come obiettivo e come modo per convertire e coltivare la nostra natura umana incline ad essere come il fariseo, con fatica riusciremo a comprenderci come quel pubblicano che nel vivere il dramma delle proprie fragilità sente la vicinanza di Dio, che lo conduce pian piano nella pienezza di chi è amato gratuitamente. Questa esperienza di amore gratuito diviene oggi il fondamento della nostra attenzione missionaria:
- è nell'esperienza dell'amore gratuito che impariamo a riconoscere la ricchezza del pubblicano, per cui la vita dell'altro mi diviene "cara";
- è nell'esperienza dell'amore gratuito che impariamo a passare dall'io al Tu che è il modo di esprimersi della Chiesa;
- è nell'esperienza dell'amore gratuito che impariamo a stare in mezzo alle persone, con la gente, consolando, alleviando, con il grembiule di servizio, per offrire misericordia e perdono, imparo a non voler stare in prima fila come un giudizio vivente per l'altro.

1 commento:

  1. UNA STORIA DI BRUNO FERRERO
    per aiutarci a capire meglio lo guardo nuovo che dobbiamo coltivare

    C'era una volta un cavaliere che aveva valorosamente combattuto in tutti gli angoli del Regno. Finché un giorno, durante una scaramuccia, un colpo di balestra gli aveva trapassato una gamba e quasi messo fine ai suoi giorni. Mentre giaceva ferito, il cavaliere aveva intravisto il paradiso, ma molto lontano e fuori della sua portata. Mentre l'inferno con la gola spalancata e infuocata era vicino vicino. Aveva da tempo, infatti, calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria e si era trasformato in un soldataccio impenitente, che ammazzava senza rimorsi il suo prossimo, razziava e commetteva ogni sorta di violenze. Pieno di spavento salutare, gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita. "Padre mio, vorrei ricevere il perdono delle mie colpe, perché nutro una gran paura per la salvezza dell'anima mia. Farò qualunque penitenza. Non ho paura di niente, io!". "Bene, figliolo", rispose l'eremita. "Fa' soltanto una cosa: vammi a riempire d'acqua questo barilotto e poi riportamelo". "Uff! E' una penitenza da bambini o da donnette!", sbraitò il cavaliere agitando un pugno minaccioso. Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito. Prese il barilotto sotto braccio e, brontolando, si diresse al fiume. Immerse il barilotto nell'acqua, ma quello rifiutò di riempirsi. "E' un sortilegio magico", ruggì il penitente. "Ma ora vedremo". Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto. Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio. Fatica sprecata! Un anno dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio. "Padre mio", disse il cavaliere (era proprio lui) con voce bassa e addolorata, "ho girato tutti i fiumi e le fonti del Regno. Non ho potuto riempire il barilotto... Ora so che i miei peccati non saranno perdonati. Sarò dannato per l'eternità! Ah, i miei peccati, i miei peccati così pesanti... Troppo tardi mi sono pentito". Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato. Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto. Di colpo il barilotto si riempì fino all'orlo dell'acqua più pura, fresca e buona che mai si fosse vista. Una sola piccola lacrima di pentimento.

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