mercoledì 6 maggio 2020

Atti 12,24-13,5 e Giovanni 12,44-50
A quale opera ci ha chiamati?

In cosa consiste il nostro "annunciare il Vangelo", dare testimonianza della nostra vita cristiana? Il rischio è evidente a tutti, siamo immersi in un esemplare appiattimento e "virtualizzazione" della nostra vita di fede. Non è in corso nessuna vera trasformazione dell'esperienza di fede, ma semplicemente l'ulteriore adattamento a una situazione che progressivamente spegnerà la memoria di Cristo come nostro salvatore.
Tutto, anche la fede si consuma nel rapporto con uno schermo piatto e intangibile. Lo spazio personale dell'individualismo si accresce, ma proprio perché ci resta solo questo spazio, che se pur limitato lo sento mio e credo di disporne secondo la mia personale volontà e soggettività. L'esclusione della percezione concreta dell'altro, veicola tutta una serie di nuove possibilità che accrescono l'irrilevanza della fede e del rapporto con Gesù. Esso si trasforma da personale ad individualistico; da oggettivo a soggettivo; da sacramentale a virtuale. Nel Vangelo di oggi, Credere, vedere, ascoltare, ecc ... descrivono un rapporto che incide nella vita personale innestandovi un dinamismo che è quello della conversione suscitata dalla salvezza che Gesù realizza costantemente come relazione interattiva con il Padre: la fede è esperienza di realtà, di comunione, di Chiesa; una esperienza che trasforma e plasma la vita reale. Il limite delle dirette video, e della mediazione virtuale è una realtà surrogata a che fa leva su un individualismo frantumato e distratto rispetto alla nostra originaria relazionalità carnale, che è prima di tutto relazione con Dio Padre, e con il "mistero della incarnazione".  Nella spazio della preghiera occorre che ne prenda consapevolezza!

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