lunedì 25 maggio 2020

Atti 19,1-8 e Giovanni 16,29-33
Presuntuosi e testardi ... sempre ...

La pretesa di aver capito tutto di Gesù, si combina con una certa arroganza esistenziale, quella di essere certi della nostra fede in lui.
Ma in realtà, di Gesù, ho capito ciò che a mi soddisfa e che forse fa comodo. Affermiamo di avere fede ma in realtà neppure abbiamo passato il vaglio della prova, cioè la tristezza del "venerdì" e a desolazione del "sepolcro". La nostra fede da dove nasce? Dagli insegnamenti morali ricevuti, come educazione cristiana o dalla gioia della risurrezione?
Gesù ironizza su queste affermazioni dei discepoli, con la stessa ironia, che oggi rivolge a noi, suggerendoci una maggior prudenza e soprattutto una maggior introspezione.
Occorre entrare nella fragilità, occorre passare attraverso l'abisso esistenziale in cui ci si sente lontani da Dio, e insieme si percepisce il desiderio di Dio Padre e di Gesù come possibilità per giungere a una "idea" di senso. La fede è la conseguenza di una certezza: "io ho vinto il mondo". Cosa significa che Gesù ha vinto il mondo se non che, la proposta di vita, che nasce dall'esperienza dell'amore - Gesù propone tutto nell'ottica dell'amore al Padre e per il prossimo - è la sola che può convincere e realizzare un modo nuovo, cioè libero dai vincoli del peccato e della morte: libero dall'egoismo!
Non si genera ma Fede se non a partire dall'amore per il Signore. Non crediamo di avere fede per somma delle conoscenze che abbiamo di Dio; potremmo iniziare a dire di avere fede solo a partire dalla esperienza di amore di cui sono sempre in ricerca e di cui sempre ho desiderio. Ma Dio, mi viene incontro proprio come risposta di amore alla mia domanda. Quando mi accorgo del desiderio di amore che rappresento e mi accorgo della vicinanza di Dio come amore per me stesso, ecco, lì si genera la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato la sua vita per me.

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