giovedì 25 giugno 2020

2 Re 24,8-17 e Matteo 7,21-29
Chiunque ascolta queste mie parole



In un mondo virtualmente costruito, dove tutto è immagine e visione, e l'ascolto è accessorio all'immagine, l'ascoltare, il leggere e lo scrivere sembrano ormai destinate a un ruolo puramente secondario. Nonostante questa tendenza di massa, la dimensione umana della relazione ha fondamento su tutta la dimensione comunicativa, la visione ne è solo una parte. Se privilegiamo solo un aspetto, perdiamo il contatto con un tempo trascorso, frutto di esperienza e vita in egual modo del tempo presente. Anche nel nostro Medioevo, si usava l'immagine, per comunicare e raccontare, ma tali immagini erano accompagnate, generalmente dalla voce, dalla parola, per cui il vedere era insieme un vero ascoltare. Le stesse parole di Gesù sono un invito a fare dell'ascolto uno strumento attuale ed esistenziale. Il vendere come susseguirsi di immagini rischia di essere solo generatore di un profondo vuoto e di mancanza di senso, al venir meno dell'immagine. L'ascolto invece interpella, chiede un profondo coinvolgimento. Chiede da subito non solo la disponibilità dell'orecchio ma prima ancora esige "un cuore che ascolta". È un cuore capace di ascolto che dispone l'uomo a riflettere, a ponderare, a costruire il proprio quotidiano in relazione alla parola. L'ascolto custodisce in sé l'accesso al mistero di Dio, che è mediato nella scrittura, questa se letta permette l'incontro con il Dio vivente. Per un credente l'ascolto è quindi costitutivo, lo è per Israele come popolo di Dio, lo è per la Chiesa - l'ekklesía - l'assemblea convocata dalla parola di Dio e riunita intorno al Cristo risorto e vivente, parola definitiva di Dio all'umanità. 

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