venerdì 26 giugno 2020

2 Re 25,1-12 e Matteo 8,1-4
Il Signore della fragilità 

La prima lettura di oggi, merita proprio una particolare attenzione. Da una parte possiamo leggerla come racconto e cronaca storica della distruzione di Gerusalemme, dall'altra con tutta la drammaticità della situazione, come un evento che esprime non solo il culmine della crisi del regno di Giuda, ma l'espressione della fragilità umana. Gerusalemme ne risulta ferita, colpita, distrutta. La città di a Dio, la dimora dell'altissimo è nel baratro della sua storia. Il popolo dentro di lei è abbandonato e deportato; i suoi capi uccisione e fatti prigionieri; le sue ricchezze e i suoi tesori sono trafugati e portati via. Le parole descrivono benissimo la crudeltà del momento; raggiungendo un vertice di dolore che sembra il grido di una città ormai desinata all'estinzione. La fragilità è stranamente la cifra che accompagna tutta la vicenda umana e della creazione. Parlare di peccato, porta direttamente a una implicazione morale e di colpevolezza, ma forse la conseguenza se non l'essenza più vera del peccato è la fragilità. Il destino crudele di Gerusalemme risulta così come il cumulo delle fragilità che di generazione in generazione si sono sommate fino ad esse un "guazzabuglio" difficilmente comprensibile.
Quando il Signore guarda la nostra fragilità, non si scandalizza, quando vede il lebbroso non fugge e neppure rincara il giudizio circa la sua condizione, ma ha una parola che lo salva. Gesù tende la mano e tocca la fragilità. Sembra quasi voler stringere ed estirpare il male che ci domina e ci avvilisce la vita. Gerusalemme ferita e distrutta sarà ancora riedificata. Dio abiterà ancora con gli uomini e le donne di quella città per fare di lei il segno della grazia e della predilezione. Non scandalizziamoci mai della fragilità, anche lì opera il Signore.

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