domenica 11 aprile 2021

Otto giorni dopo ... Siamo punto a capo!

At 4,32-35; Sal 117; 1Gv 5,1-6; Giovanni 20,19-31


Domenica scorsa era Pasqua e noi cristiani abbiamo detto al mondo che Gesù, è risorto, che non è nel sepolcro, ma che è vivo. Lo abbiamo detto con la convinzione e la certezza che ci viene dalla fede che ci hanno insegnato ... Ma è sufficiente?
Basta ripetere che Gesù è risorto per suscitare la fede in Lui? È sufficiente per innestare speranza e vita nuova?
Quale impatto, quale reazione suscita il raccontare la risurrezione di Gesù, oggi, in questo tempo di epidemia virale, dove tutta la nostra vita ne è profondamente segnata, dove il contagio sembra attenderci dietro l'angolo con esiti imprevedibili di malattia e di morte. È risorto, affermiamo, ma la realtà di questo nostro mondo sembra invece essere schiacciata dal virus che ci uccide e che mette in crisi non solo la struttura sanitaria, ma le nostre relazioni, il nostro lavoro, la nostra sicurezza del domani ecc...
È in questa realtà che l'uomo non riesce a contemplare, cioè a pensare possibile a risurrezione di Gesù. È in questa realtà che il nostro cuore diviene casa della paura, come anche del sentirsi tradito da un amore,  quello di Gesù, che si dimostra fragile e incapace di risolvere i nostri drammi attuali.
Allora, per noi che diciamo di credere, come testimoniare il nostro vivere la risurrezione di Gesù?
Come imprimere la novità del risorto in una vita che diversamente risulterebbe schiacciata dal peso di una quotidianità che porta con se il germe della morte?
Credo che la descrizione degli Atti degli Apostoli, circa la prima comunità dei credenti, anche se sotto certi aspetti è un poco idealista, dice come una comunità che ha fede nella risurrezione riesce a vive la risurrezione del Signore Gesù, attraverso l'esperienza concreta della comunione e della condivisione, una vera fraternità: "Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno".
Un coinvolgimento così radicale per cui ogni sicurezza, viene messa nella comunione.
Un estremo che forse ci spaventa: ... vendere il campo per condividerne con gli altri ...
Privarsi del "mio" per renderlo "nostro".
Credo che l'unica possibilità per essere credibili, sia recuperare quella vera fraternità che si esprime in un profondo stile di comunione e condivisione fra noi.
Credo che chi vive con il risorto non ha bisogno di stare di fronte al mondo per giudicare il mondo, e chi vive della risurrezione prima di tutto deve amare ciò che il risorto ha amato e ama: questo mondo con tutte le sfide che anche oggi ci presenta.
E quale è il segno più esplicito della comunione e della condivisione se non l'esercizio dell'amorevolezza della benevolenza?
Tommaso, dice il Vangelo, non era con gli altri quando Gesù apparve risorto il giorno di Pasqua, e non c'è nulla della testimonianza degli altri che lo convince rispetto ai suoi dubbi e alle due paure. La realtà vissuta ha inciso profondamente in lui i segni sconvolgenti della morte del maestro.
Otto giorni dopo Tommaso sperimenta, non una manifestazione spettacolare di chi è vivo, non il rimprovero di un maestro deluso dal discepolo impreparato, ma sperimenta ancora l'amorevolezza di Gesù, la sua pazienza nell'introdurlo nell'esperienza dolorosissima della morte fino a toccare con mano che la risurrezione non cancella nella realtà le cicatrici della crocifissione. Di quei segni di dolore e di morte , dobbiamo prendercene cura, possiamo anche toccarli, ma non saranno questi a convincerci della risurrezione; saranno questi invece a parlarci della tenerezza e dell'amore del Signore; il quale ora vuole accompagnare la nostra vita e non lasciarci da soli nella desolazione e nella paura. Gesù risorto non ci vuole stupire ma vuole portarci con pazienza a pronunciare quelle parole che sono uniche: "mio Signore e mio Dio",  cioè mio tutto.
Che bello Gesù vivo, non accusa, non rimprovera, non abbandona, ma si ripropone, si riconsegna ai discepoli che non l’hanno capito, come oggi anche alla nostra inadeguatezza.
Che bello Gesù risorto che accompagna con delicatezza infinita la nostra fede lenta, e non ci chiede di essere perfetti, ma di essere autentici; non di essere immacolati, ma di essere incamminati. Otto giorni dopo chi crede, accompagnato da Gesù vivo continua a camminare insieme a lui con i propri fratelli nello stile del maestro.

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