giovedì 2 maggio 2019

Atti 5,27-33 e Giovanni 3,31-36
Chi crede nel Figlio?

"Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce." Queste parole di Pietro risuonano come una accusa, insieme a una rivelazione, che pone tutti di fronte a una sconvolgente realtà: se Gesù è risorto, cosa succede ...; che cosa vuol dire ...; che cosa diviene la fede dei padri ... il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, quel Dio invocato col non-nome Yhwh?
Effettivamente i primi passi della comunità di Gerusalemme in un certo modo propongono le cause e la situazione che è dell'origine dell'esperienza Cristiana, una origine che come tale va collocata diversi secoli più tardi.
Anche il Vangelo, nella testimonianza a distanza che il Battista fa di Gesù, in un certo modo propone la consapevolezza profetica di Israele, la fede del popolo che chiede a Giovanni il battesimo e vuole immergersi nel rinnovamento della vita, di fronte all'ostinazione dei detentori del potere religioso, agli schiavi del rito e della Legge.
Dice Giovanni Battista: "chi è stato inviato (Gesù) dice le parole di Dio" ... "e non ha misura dà lo Spirito". Ecco la chiave di lettura della risurrezione: essa non è un semplice avvenimento, come non lo è la croce; ma la vita stessa di Gesù, la sua passione, morte e risurrezione rappresentano la realtà da cui riemerge la creazione stessa, tutto riprende origine dalla risurrezione, tutto è abitato dallo Spirito; tutto è condotto dallo Spirito, nella libertà al compimento cioè: "chi crede nel Figlio ha la vita eterna". Le conseguenze della risurrezione sono la vita cristiana (l'esperienza concreta della vita) come vita nuova: "le cose vecchie sono passate, non ve ne accorgete!" Chi se ne accorge, accoglie la testimonianza di colui che il padre ha mandato; vera appartenenza e atto di fede.

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