mercoledì 9 dicembre 2020

Stanchi e oppressi ...

Isaia 40,25-31 e Matteo 11,28-30


Il capitolo 11 di Matteo, è denso di situazioni che si susseguono rapidamente, dando il senso di una realtà estremamente articolata e anche un poco "pesante". Gesù si confronta con la fatica, con il sospetto, con l'incredulità, con la fragilità di chi ha accanto. Eppure il modo di gestire questa fatica, per Gesù, non è mai scadere nel giudizio, nella denuncia, nella ribellione. Gesù è veramente un esempio di "resilenza", ma non passiva ed estranea alla realtà; Egli vive la realtà a partire dal suo interno, con quella perseveranza che sola è capace di mettere il germe della speranza. Gesù semina nella fatica un ristoro, nella stanchezza nuove energie.
Le parole di Gesù le conosciamo da tempo, eppure sempre muovono il nostro cuore verso una speranza certa: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”. Gesù sente compassione, per la nostra finitezza, che si trasforma in sfinitezza, la fatica rispetto alla quale non abbiamo risorse. Gesù si avvicina alla nostra fragilità che può essere così profonda da divenire oppressiva, cioè condizionante al punto di non avere possibilità di riscossa. Questi sentimenti di Gesù sembrano estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza (cfr Benedetto XVI, 2011). Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”, venite a me voi tutti amati dal padre mio. È il mio sguardo dove si posa?

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