lunedì 27 luglio 2020

Ger 14,1-11 e Matteo 13,31-35
Il seme del regno 

L'immagine della parabola ci affascina; apre sempre prospettive di possibilità insperate e generalmente di ampio respiro. La parabola non è però immagine per una suggestione interiore, e non avendo una morale di carattere educativo, non è direttamente valutabile rispetto alle scelte che si fanno in coscienza. Le parabole si ascoltano e ci lasciano liberi di fronte alla possibilità di interpretarle e di farle nostre, cioè di dare alla nostra vita quel gusto delle cose di Dio che la parabola lascia come traccia del regno in noi. Ma allora queste parabole del regno a cosa servono? Perché Gesù parlava in parabole?
Là parabola è uno spazio di rivelazione e di piena libertà. La risposta sul senso e sul parlare in parabole è proprio nella citazione profetica dell'evangelista: "Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo".
La parabola rivela un mistero antico quanto la creazione. Ma di che mistero di tratta?
Che cosa è il mondo se non l'espressione della passione di Dio per l'uomo? Quella passione che ha reso Dio, figlio è piccolo seme gettato nel campo del mondo e dove germinato e cresciuto, è diventato l'albero della croce; segno di misericordia e di amore per tutti, tanto che a nessuno è preclusa la possibilità di trovarvi dimora. Tutte le parole di Gesù che risuonano nelle parabole sono rivelazione del grande mistero di amore che avvolge la realtà fin dalla fondazione del mondo.

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