domenica 18 luglio 2021

Ripartiamo dall'ABC della missione.

Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34


Già domenica la parola di Dio ci ha introdotto nella "missione" che Il Signore affida, inviando i suoi discepoli. Un invio in missione che lo possiamo esprimere come essere il sogno di Dio: un mondo guarito per opera dei discepoli di Gesù nelle sue ferite; un mondo pieno vita e di speranza; un mondo senza demoni del male; un mondo in cui siano possibili relazioni armoniose e felici; un mondo di porte aperte e brecce nelle mura.
È questa l'immagine che possiamo vedere rileggendo il Vangelo di questa domenica, che prosegue nella narrazione di ciò che è accaduto dopo l’invio in missione. Ma come si realizza tutto questo, da dove occorre partire?
Quando noi pensiamo alla missione, generalmente identifichiamo il tutto con l'agire dei missionari in terre lontane o in parti del mondo che vivono problemi economici e sociali.
Ci siamo talmente formalizzati nelle strutture ecclesiali, che dire missione e significa spesso e volentieri dire: Pontificia Opera Missionaria, le raccolte missionarie o l'ottobre missionario. Opera missionaria che per decenni ci ha assolto da ogni prospettiva personale e comunitaria circa la missione della Chiesa; grande cosa è la delega,  ma in questo caso è stato molto e più che altro un deresponsabilizzare.
Occorre ripartire dall'ABC ...
Occorre ripartire dalle domande di fondo: A cosa serve annunciare il Vangelo? Cosa c'entra la mia vita con questo annuncio?
Quale opera di Dio si innerva nella nostra missione? 
Quale rapporto tra la mira missione, il nostro essere Chiesa e Gesù Cristo?
Sono domande a cui il Vangelo di oggi, profeticamente, cerca di dare risposta.
Partiamo dal fatto che il Vangelo non è un imparaticcio di precetti morali da insegnare ai bambini del catechismo e da richiedere come atteggiamenti esistenziali agli adulti di una comunità.
Che cosa è il Vangelo se non la parola di Gesù, è ciò che Gesù insegnava, condivideva, offriva e donava alle persone nell'incontro con loro, al punto che attratte da lui lo cercavano.
Il Vangelo è allora l'esperienza di essere stati toccati dalle parole di vicinanza, di amore, di compassione, di tenerezza, di accoglienza del Signore; al punto che quelle parole si radicano nella vita, e quando siamo inviati nel mondo non portiamo una vita diversa da quella che ha incontrato le parole di Gesù.
Se questo è vero, prima ancora di riforme sociali, aiuti economici, istruzione e beni di prima necessità, l'annuncio missionario ha come fine incontrare l'uomo nella sua normalità e quotidianità;  nella povertà e anche nel suo limite e diversità; ma è quell'incontro che diviene lo spazio in cui la parola di Gesù risuona e cerca casa ... Si ripete l'immagine: "... egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose".
Gesù di fronte alla pochezza dell'uomo la vuole toccare e sanare con la sua parola. L'uomo ha bisogno di essere nutrito nel suo esistere, allo stesso modo in cui si nutre totalmente una persona umana.
C'è tanto da fare, ma l'invio in missione non significa gettarsi nel vortice del dolore e della fame, prima occorre arrivare al cuore dell'umano. 
Come al solito qualcuno potrebbe dire: ci sono problemi più urgenti da risolvere: guarire, sfamare, liberare; bisogni più immediati che non mettersi a insegnare - invece Gesù si mette a insegnare - Forse abbiamo dimenticato che c’è una vita profonda in noi che continuiamo a mortificare, ad affamare, a rendere arida, e disumana. 
Oggi viviamo la cultura del reddito e della produttività; degli impegni, al punto che sembrano uniche a dare valore alla vita. Ma Gesù ci insegna che la vita vale indipendentemente dai nostri impegni,dal nostro reddito e dalla nostra capacità di produrre ricchezza. Tutto questo significa che anche il nostro modo di vivere la missione l'essere inviati va ripensato a partire proprio da Lui, da Gesù. Per molti questo non è e non sarà facile, per molti cresciuti nel tempo delle fare delle istituzioni, il cambiamento può fare paura e forse non lo si riuscirà a mettere in atto, ma oggi a chiesa ci chiede una vera crescita bella coscienza di discepoli. Stare con Gesù in disparte significa prendere coscienza di come dobbiamo essere missionari. 
Oggi, va ripensato il nostro invio a partire da una particolare attenzione ai fratelli, dalla benevolenza gratuita che rappresenta l'unico modo cristiano di strade di fronte e con l'altro, cioè volergli bene.
Oggi questa è la missione dei discepoli di Gesù: immettere una bella e umana vita,  nella vita dei fratelli, attraverso il nostro incontro con le parole di Gesù, che stranamente corrispondono alla verità più profonda di ciascun uomo.


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